Il Rajasthan, tra gli stati dell’india, è noto per il suo clima arido, e racchiude al suo interno vaste zone desertiche. Anche le, purtroppo, limitate zone ancora ricoperte di foresta, mostrano il loro aspetto lussureggiante solo durante e dopo la stagione monsonica. Negli altri mesi tutto si trasforma in una affascinante “dry forest”, in cui solo intorno agli specchi o ai corsi d’acqua è possibile ritrovare un po’ di verde. La più importante area protetta del Rajasthan è il Ranthambore National Park, poco meno di 400 km quadrati in cui si ritrova l’India selvaggia di qualche secolo fa. Il parco fa parte del Project Tiger, un circuito di aree protette che ospitano questo felino. All’interno dei suoi confini vivono una quarantina di tigri del Bengala (Panthera tigris tigris), che non sono però i soli felini presenti al suo interno. Sulle selvagge montagne della riserva vive, infatti, anche l’elusivo leopardo indiano (Panthera pardus fusca), un predatore dalle abitudini prevalentemente notturne. Qualcuno forse ricorderà le splendide immagini realizzate dal fotografo Steve Winter per il Nat Geo utilizzando trappole fotografiche, dove si potevano ammirare i leopardi di notte con lo sfondo delle case alla periferia di Mumbai, dove è stata istituita un’estesa area protetta, in cui questo predatore è stabilmente presente. Oltre alle tigri e ai leopardi nel Ranthambore vivono anche altri “gatti” selvatici, di dimensioni e fama minori, ma sicuramente affascinanti da riprendere, vista anche la difficoltà di incontrarli. Mi riferisco in particolare al jungle cat (Felis chaus), di taglia media piccola, per intenderci una via di mezzo tra un gatto domestico e una lince. Osservare le tigri presenti nel parco non è difficile ma neppure scontato. La grandezza dell’area, divisa in otto settori, e la sua conformazione “impervia”, rendono comunque l’incontro sempre molto emozionante. Al contrario dei safari africani, dove sono utilizzati, in genere, fuoristrada chiusi, qui i visitatori si muovono su piccole jeep aperte e basse, guidate da driver espertissimi, affiancati da un ranger/ guida. Nonostante il contatto ravvicinato con gli animali, si tratta di una situazione assolutamente sicura. Le tigri qui vivono praticamente “immerse” nelle loro prede naturali (cervi pomellati, in particolare) e attaccano l’uomo solo come riflesso di difesa del proprio territorio. Le persone a bordo dei fuoristrada non sono considerate da questi, vi assicuro, impressionanti per grandezza felini, un pericolo, e quindi totalmente ignorate. L’unico incidente avvenuto è stato provocato dalla sconsiderata azione di una guida che, ignorando questa semplice e basilare regola di comportamento, ha pensato bene di scendere dal proprio mezzo e inoltrarsi nel bush per controllare della tracce. Dei veicoli più grandi sono riservati a gruppi di turisti numerosi, ma si tratta di mezzi che possono percorrere solo alcune delle molte e talvolta particolarmente “dure” piste che attraversano il parco. Altra differenza con i safari africani è il tipo di obiettivi da utilizzare. Mentre in Africa si è spesso “corti” anche con il 500 mm, qui il problema è contrario, nel senso che gli animali possono avvicinarsi tanto da rendere “lungo” anche un 100 mm. Tutte le mie foto alle tigri e agli altri animali del parco le ho scattate con il Nikon 70-200 f 2,8 VRII, a cui, in molte situazioni, ho aggiunto il duplicatore Nikon AF-S Teleconverter TC-20E III. In questo modo sono riuscito a realizzare ritratti agli animali anche quando si trovavano piuttosto lontani, ma ho potuto continuare a fotografarli quando la distanza era estremamente ravvicinata (in alcuni casi meno di due metri dalla jeep…). Nel corso dei safari ho avuto la fortuna di incontrare il leopardo indiano solo due volte, nello stesso safari e nel giro di pochi minuti, e si trattavano certamente di esemplari diversi, forse una coppia. In entrambi in casi ci trovavamo nelle zone “alte” parco”, sono stati incontri ad alto tasso di adrenalina, durati una manciata di secondi… Ancora più fugace è stato l’apparizione del jungle cat, che ho personalmente scorto fra la folta vegetazione, con grande sorpresa delle guide che non ne vedevano uno da lungo tempo. Anche in questo caso l’utilizzo di uno zoom (categoria di lenti che non amo molto per vari motivi, che prima o poi vi spiegherò…) mi ha permesso quella adattabilità al soggetto ripreso e quella velocità di azione che un tele lungo (300-400-500-600 mm) a focale fissa raramente consente. Nel Ranthambore National Park le tigri e gli altri felini rappresentano, indubbiamente, un potente magnete che cattura con forza l’attenzione dei visitatori. Ma i suoi panorami mozzafiato, con gli specchi d’acqua popolati di coccodrilli, i tantissimi uccelli, nonché la presenza dell’orso labiato (Melursus ursinus) e la grande quantità di cervi, antilopi, gazzelle, scimmie e altri mammiferi che vivono al suo interno, lo rendono comunque una meta affascinante per il fotografo naturalista.
Roberto Nistri
Roma, 28 gennaio 2017